[¯|¯] Il Teorema di Gödel e la notazione di Iverson
Settembre 18th, 2014 | by extrabyte |
Fig. 1. Kurt Gödel
Nella definizione della funzione signum abbiamo utilizzato le parentesi di Iverson. Se è
l'insieme delle proposizioni associate a un sistema formale
:
\begin{equation}
\underset{\,\,\,\,\,\,\,\,\,\,\,\,\,\,\,\,\,\,\,\,\,\,\,\,\,\,\,\mathcal{P}%
\longrightarrow\left[ \mathcal{P}\right] ,\,\,\,\,\forall\mathcal{P}\in\Pi
}{\left[ .\right] :\Pi\rightarrow\mathbb{N}}\label{eq: function_iverson}%
\end{equation}
Tale legge è:
\begin{equation}
\left[ \mathcal{P}\right] =\left\{
\begin{array}
[c]{l}%
1\text{, se }\mathcal{P}\text{ è vera}\\
0\text{, se }\mathcal{P}\text{ è falsa}%
\end{array}
\right.
\end{equation}
La funzione (\ref{eq: function_iverson}) è definita in

Di seguito alcune considerazioni intuitive collegate al Teorema di Gödel secondo cui, in ogni sistema formale esistono proposizioni indecidibili, nel senso che non possono essere nè dimostrate nè confutate. Come è noto, Gödel partì dal famoso paradosso del mentitore. Si consideri, ad esempio, la seguente proposizione:
\begin{equation}
\mathcal{P}_{\ast}=\text{"questa proposizione è falsa"}\label{eq: g}
\end{equation}
È chiaro che è vera se e solo se è falsa. Ciò implica che le parentesi di Iverson applicate a
non restituiscono alcun valore logico (cioè 0 o 1). In altri termini:

Fig. 2. La proposizione P* è indecidibile
Il Teorema di Gódel è stato utilizzato dal fisico matematico Roger Penrose per dimostrare la natura non algoritmica dell'intuito matematico. Di seguito un brano tratto dal suo libro La mente nuova dell'imperatore
Come ho già detto in precedenza, buona parte della ragione per credere che la coscienza sia in grado di influire su giudizi di verità in modo non algoritmico deriva dalla considerazione del teorema di Gödel. Se riusciremo a renderci conto che il ruolo della coscienza non è algoritmico nella formazione dei giudizi matematici, in cui sono un fattore importante il calcolo e la dimostrazione rigorosa, allora senza dubbio potremo convincerci che un tale ingrediente non algoritmico potrebbe essere cruciale anche per il ruolo della coscienza in situazioni più generali (non matematiche).
[...]Supponiamo, per il momento, che i modi in cui i matematici formano i loro giudizi coscienti sulla verità matematica siano effeivamente algoritmici. Cercheremo di ridurre quest'affermazione a un'assurdità (reductio ad absurdum) per mezzo dell'uso del teorema di Gödel.
Dobbiamo considerare innanzitutto la possibilità che diversi matematici usino per stabilire la verità algoritmi non equivalenti. Uno dei caratteri più sorprendenti della matematica è quello che la verità di proposizioni può essere realmente stabilita per mezzo di ragionamenti astratti!. Un ragionamento matematico che convince un matematico, a condizione che non contenga errori, convincerà anche un altro matematico, non appena lo avrà capito appieno. Ciò vale anche per le proposizioni del tipo di Gödel. Se il primo matematico è pronto ad accettare che tutti gli assiomi e le regole di un particolare sistema formale gli diano solo proposizioni vere, dev'essere pronto anche ad accettare che la sua proposizione di Gödel descriva una proposizione vera. Sarebbe esattamente lo stesso per un secondo matematico. Il punto è c he i ragionamenti che stabiliscono la verità matematica sono comunicabili.Non stiamo parlando quindi di vari oscuri algoritmi che potrebbero girare nella testa dei singoli matematici. Stiamo parlando di un sistema formale impiegato universalmente che è equivalente a tutti gli algoritmi dei diversi matemamtici per giudicare la verità matematica. Ora, questo presunto sistema «universale», o algoritmo, non potrà mai essere conosciuto come quello che noi matematici usiamo per decidere la verità! Se infatti fosse così, noi potremmo costruirne la proposizione di Gödel e sapere che anch'esso è una verità matematica. Siamo così indotti alla conclusione che l'algoritmo di cui i matematici in realtà si servono, per decidere la verità matematica, è così complicato o così oscuro che la sua stessa validità non potrà mai essere nota.
Ma una tale conclusione getta disprezzo su tutto ciò di cui si occupa la matematica! Il punto essenziale della nostra tradizione e della nostra formazione matematica è che noi non dobbiamo mai inchinarci all'autorità di qualche oscura regola che non potremo mai sperare di capire. Noi dobbiamo vedere - almeno in linea di principio - che ogni passo in un ragionamento può essere ridotto a qualcosa di semplice e di ovvio. La verità matematica non è un dogma orrendamente complicato la cui validità è sottratta alla nostra comprensione: essa è costruita con ingredienti semplici e ovvi, e, una volta che li abbiamo compresi, la loro verità risulta chiara e viene accettata da tutti.
A mio parere questa è una reductio ad absurdum così lampante della quale non potremmo sperare nulla di meglio, in mancanza di una vera dimostrazione matematica! Il messaggio dovrebbe essere chiaro. La verità matematica non è qualcosa che possiamo accertare semplicemente attraverso l'uso di un algoritmo. Io credo, inoltre, che la nostra coscienza sia un ingrediente cruciale nella nostra comprensione della verità matematica. Noi dobbiamo "vedere" la verità di un ragionamento matematico per convincerci della sua validità. Questo "vedere" è l'essenza stessa della coscienza. Esso deve essere presente ogni volta che noi percepiamo direttamente la verità matematica. Quando ci convinciamo della validità del teorema di Gödel, non solo lo "vediamo", ma così facendo riveliamo la natura non algoritmica di questo stesso processo di visione.