Senza traccia (racconto di fantascienza)

Febbraio 28th, 2022 | by Marcello Colozzo |

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A proposito del Problema di inseguimento, a volte la fantascienza offre interessanti spunti di riflessione. Nel caso in esame, non tanto per una questione di traiettorie ma per un problema di natura computazionale. È il caso di Senza traccia un racconto del 1959. E siccome sono un appassionato della serie URANIA, ho con me la copia cartacea. In un capitolo c'è un'interessante argomentazione sul cosiddetto cerebrosoma che avevo già utilizzato in passato per quanto riguarda i componenti elettrici auotopoietici. Tra l'altro, è molto interessante la trama.... Riportiamo alcuni brani significativi (il protagonista è ciò che oggi si direbbe un technical writer ovvero un giornalista scientifico). In primis, l'incipit che è davvero accattivante:

Nelle prime ore della sera, cominciai il viaggio di ritorno per riaccompagnare Jill Friday in città, ma siccome eravamo in ritardo due ore buone sui termini fissati, fermai la macchina accanto a una provvidenziale cabina telefonica alla periferia di Londra per chiamare Cannock, al giornale, capo redattore dei servizi speciali alla rivista View, che aveva fissato per le cinque il termine di chiusura per il nostro servizio, ma quello era stato un giorno di contrattempi culminati con lo scoppio di un pneumatico a quindici chilometri circa da Oxford. Così adesso erano le sette e cinque.

[...]

Una grande macchina verde di linea americana, mi parve una Wayfarer, era ferma davanti a noi, e nella cabina telefonica c'era una donna. Riappese, nel momento in cui spensi il motore, e uscita dalla cabina raggiunse la Wayfarer, attraversando il marciapiede decorato con un bordo erboso. Era alta, bionda e snella, piacevole da guardare, e indossava un elegante abito grigio.

Io smontai, frugandomi in tasca alla ricerca di qualche moneta per il telefono. La Wayfarer partì di scatto, con un rombo da jet intercontintentale, e un attimo dopo era una piccola macchia in lontananza, fra le sagome illuminate e multicolori dei negozi in fondo alla strada.

[...]

Accesi una sigaretta e mi voltai per uscire dalla cabina. In quel momento vidi il taccuino. Era di piccole dimensioni, rilegato in chinghiale marrone, e stava posato aperto sulla mensola sotto l'apparecchio telefonico. Le pagine, quelle a cui era aperto, portavano solo un numero di telefono, scritto a penna: Vincent 2041.

Presi il taccuino. La copertina di pelle, quella dell'ultima pagina, serviva da portamonete ed era chiusa da una cerniera lampo. L'aprii e all'interno vidi un mucchietto di banconote da dieci dollari: ventiquattro biglietti di solido valore corrente.

Un paio di boccate di fumo mi aiutarono a pensare, mentre facevo scorrere le pagine del libretto. Avevano ben poco da dirmi: sembrava quasi che il taccuino appartenesse a una persona molto riservata, poco disposta ad affidare allo scritto qualcosa di più che qualche nome e qualche numero telefonico, e alcune parole abbreviate. Lessi il nome Clark e il nome Alexis, e su una pagina vidi un'annotazione che si riferiva al sodio amytal, una specie di tranquillante, per quel che ne sapevo. Su un'altra pagina riuscii a decifrare: Giornale di scienza medica, maggio 1956 - interpretazione cerebrosomatica della diagoni psiconeurologica. È questa mi parve una curiosa annotazione da fare su un taccuino di uso chiaramente personale, soprattutto da parte di una bella donna che circolava in una supercromata macchina americana. Ammesso, naturalmente, chre il libretto fosse suo, il che era impossibile da stabilire.

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